
Quando ho visto che su Netflix era disponibile la miniserie documentario SanPa ho subito deciso di guardarla anche per una questione puramente personale. Perché? Quando frequentavo il Liceo ho letto un libro su Vincenzo Muccioli. Purtroppo non ricordo l’autore e nemmeno la casa editrice. L’avevo preso in biblioteca per un compito a casa e ne ero rimasta folgorata, un po’ perché a diciassette anni è facile farsi coinvolgere, un po’ per la vicinanza emotiva sull’argomento ( parenti ed amici vittime della droga) ed anche perché era un argomento su cui il mio professore aveva subito storto il naso. All’epoca ciò che avevo trovato scritto su quelle pagine (che in ogni caso non avevano taciuto nulla sulle famose zone d’ombra di cui tanto si parla durante la serie) non mi aveva scioccata e nemmeno mi aveva fatto pensare che potesse non essere giusto. La missione di quell’uomo mi era parsa rivoluzionaria e controcorrente ma mossa da un solido ideale di miglioramento. Ogni rivoluzione porta delle vittime ed il fatto che i ragazzi fossero consapevoli di entrare in un programma che avrebbe impedito loro di andarsene anche se avessero cambiato idea mi faceva supporre che potessero immaginare che esistessero dei metodi di contenimento. Avevo litigato molto con il mio professore, che non condivideva affatto il mio lungo tema, che descriveva, in termini positivi, l’operato che Vincenzo Muccioli aveva svolto nella comunità di San Patrignano.

In tutto il tempo che è passato, nella mia testa quell’argomento, così come la mia opinione, erano rimaste le stesse. Ad oggi, oltre vent’anni dopo la lettura di quel libro, ho visto la serie e mi sono scoperta a cambiare idea su molti punti, anche se penso che se incontrassi il mio professore di italiano del liceo, litigheremmo nuovamente per motivi diversi.
Dove inizia e dove termina la libertà di un uomo che nella sua fase di sofferenza dovuta all’astinenza sarebbe in grado di fare qualunque cosa pur di avere una dose? In che modo si può determinare la responsabilità di qualcuno che a discapito di pochi salva la vita a molti? Si può essere così propensi alla beatificazione di qualcuno anche se è indubbio che il ritorno economico che deriva dalle sue azioni non sia pane dei Santi ma degli Imprenditori? Io penso che, così come testimoniato dagli ospiti stessi della comunità, la San Patrignano degli esordi fosse l’idea originale e funzionale secondo le regole supreme del dittatore burbero e buono che proprio in quanto uomo era fallibile. Certo, se posso comprendere in qualche modo il contenimento con le catene a fin di bene, non capisco perché ciò dovesse avvenire in luoghi privi di igiene ed in condizioni di totale abbandono. Il regime di dittatura famigliare che ha permesso a Muccioli di credere fosse giusto disporre totalmente della vita degli ospiti proprio come farebbe un padre padrone con i suoi figli, ha anche creato il lui la convinzione di essere sempre nel giusto. Anche quando le circostanze ed i fatti erano schiaccianti. Adesso capisco l’animosità con la quale il mio professore aveva cercato di farmi cambiare idea: per lo stesso motivo per cui io oggi scrivo questo pensiero.
La libertà. Mai come oggi mi sono ritrovata a pensare a questo concetto, anche in relazione a quanto ci sta capitando. Gli ideali di libertà oggi vengono messi in discussione diversamente e si gioisce quando qualcuno viene censurato o punito per aver detto qualcosa “fuori dal coro”. E così ci si divide tra il coro ed i sostenitori del coro e le voci “fuori”, quelle che rivoluzionano, quelle che stridono e che spesso sbagliano i modi e che altrettanto sonoramente rischiano di diventare un coro parallelo, che improvvisamente tenta di soffocare altre voci solitarie. Il principio di aggregazione di SanPa aveva creato un essere intero dove il singolo non era preso in considerazione se non in rare occasioni: quando veniva accolto, quando veniva scelto per un compito, quando (se) se ne andava. Diversamente erano un gregge di tasselli che avevano la responsabilità di tenere in asse la libreria di Muccioli che mano mano riempiva di codici e regole che cambiava a piacimento.
Quello su cui ho riflettuto è stato più che altro il mio approccio alla visione del documentario ed ho notato quanto sia stata diversa la mia reazione. A seconda dell’identificazione si sposta la reazione emotiva e, probabilmente, quando a diciassette anni lessi il libro, mi ero identificata con Muccioli, con la figura di un uomo che decide di cambiare le cose e di aiutare le persone affrontando le difficoltà. Mi ero messa dalla parte della figura che nella mia testa voleva cambiare il mondo. Oggi ho guardato la serie con la faccia della segretaria che prende appunti, giudicando parole, espressioni, fatti e racconti e spostando il mio punto di vista dalla parte di quelli che il mondo lo guardano cambiare.
La domanda quindi mi è parsa spontanea: è questo quello che chiamano invecchiare? Perdersi a discettare sulle imperfezioni di qualcosa che seppur con molti difetti aveva l’ambizione di cambiare il mondo?
Stè